Padre Daniele Badiali

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Accelera il passo per seguire il Signore

La chiamata del Signore non è stata un fulmine a ciel sereno ma è nata e cresciuta con me. La mia famiglia mi ha educato alla fede e la parrocchia, con tutte le sue attività e iniziative, ha rappresentato il luogo importante della mia giovinezza, per il cammino spirituale e umano fatto insieme a tanti altri.

Sono stato molto fortunato a incontrare dei preti, soprattutto il mio parroco che oltre a testimoniarmi la gioia di una vita spesa per il Signore e la Chiesa, mi ha anche accompagnato nella comprensione del significato della liturgia, facendomi gustare la sua bellezza. Senza esagerazioni dico che è stato molto importante per pensare alla mia vocazione, come importante è stato il gruppo parrocchiale nel quale sono cresciuto attraverso i campi e un percorso giusto per crescere nella fede, con tanti amici che, ancora oggi, sono presenti in modo prezioso e con i quali condivido il cammino, pur nella diversità delle scelte fatte.

Fra i momenti che rimarranno vivi nella mia memoria c'è quello dell'ingresso in seminario: accompagnato dal mio parroco che mi affidava alle cure della Chiesa, in quel giorno del settembre del 1986, nell'atrio del seminario, incontrai tutti quelli che sarebbero diventati i miei compagni di classe, e fra loro c'era anche Daniele.

Era tornato dal Perù, deciso a diventare prete per ritornare ad annunciare il vangelo sulle Ande.

Cinque anni insieme non sono pochi: non è la condivisione del luogo di lavoro (che già non è piccola cosa) e neppure la conoscenza che si può avere di una persona attraverso un rapporto di amicizia. E' una condivisione integrale, l'esperienza di una vita comunitaria, attorno al Signore, in un cammino serio e impegnativo, definendo sempre meglio l'obiettivo, cercando di camminare in modo profondo e vero. Con Daniele e con altri si instaurò praticamente subito questo rapporto profondo, al punto che dopo pochi mesi avevamo l'impressione di conoscerci da tanto tempo. Una fraternità senza fronzoli ma vera, aiutata sicuramente da un sentire e da una esperienza familiare e parrocchiale molto simili e dalla sua grande capacità di legare simpaticamente con tutti.

La qualità più importante del cammino di discernimento spirituale in seminario non è solo il desiderio di diventare prete o avere grandi aspirazioni e progetti. E' invece la vocazione, la chiamata che è sempre un dono di Dio.

Ma questa - se c'è - deve trovare un terreno pronto, fertile; il Signore deve trovare un cuore disponibile, umile, pronto ad ascoltare, a mettersi in gioco, a cambiare i propri programmi. Un cuore che non si accontenti delle cose mediocri, anche rispetto alla fede, che accetti di essere purificato per crescere nella verità, attraverso le fatiche e i piccoli e grandi sacrifici che si incontrano lungo il cammino. Tutto questo sono stati gli anni di seminario, soprattutto per Daniele che a un certo punto, rispetto a noi suoi compagni, ha accelerato il passo, come se fosse attratto da una forza, quella del Signore, irresistibile.

Dal giorno della morte, segno luminoso della sua carità, che ci ha tutti inizialmente travolti per il dolore e la violenza con cui si è abbattuta, hanno cominciato a prendere forma vari aspetti. Se, da una parte, c'è chi cerca di imitarlo stando in superficie, cioè solo negli atteggiamenti esteriori, portando scarsi risultati, o chi cerca di piegarlo ai propri fini e scopi (questo è triste e abbastanza normale rispetto a figure così grandi, il tempo aiuterà a purificare...) dall'altra la sua statura umana e spirituale si impone con sempre maggiore chiarezza. Chi lo incontra nei suoi scritti e nelle sue canzoni senza averlo conosciuto direttamente, trova in lui un sentiero per camminare nella Chiesa e conoscere Gesù. Questa statura di santità è il risultato di un grande lavoro che Daniele ha fatto su di sé, lavoro che lo ha interiormente trasformato nel corso degli anni, non solo quelli del seminario. La sua dedizione, la sua obbedienza, il suo amore ai piccoli e ai poveri, alla Chiesa diocesana, al vescovo, al presbiterio: sono i punti luminosi della sua testimonianza e solo alcuni degli aspetti sui quali abbiamo scambiato tante parole nelle ore serali, richiamando spesso la fraterna sollecitudine del nostro vicerettore, don Sauro di Cesena, che ci invitava ad andare a letto.

A me e a tutti noi ora la continuazione del cammino, ed è questa la fatica più grande. Non solo ricordare i capi e il loro esempio, come ci invita a fare l'autore della lettera agli ebrei, ma anche imitare la loro fede. Lo penso spesso, ogni volta che il mio sguardo cade sulla sua fotografia che ho nello studio. E' la responsabilità di non relegare don Daniele dentro le sue lettere, la sua esperienza e i nostri ricordi, ma in un certo senso di farlo esplodere perché continui a parlare a tutti, spingendo ciascuno a compiere scelte evangeliche.

don Roberto Macciantelli, compagno di seminario di p. Daniele, oggi rettore del seminario arcivescovile di Bologna

Bologna, 4 marzo 2014