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OMELIA NEL XXI ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL SERVO DI DIO DANIELE BADIALI.
Cari giovani, come vi ho detto ieri sera a Fossolo, siamo qui per ricordare Padre Daniele Badiali, nato a Ronco, nella campagna faentina,
assassinato in Perù nel 1997, dopo essersi offerto al posto di una volontaria italiana durante un rapimento. «Vado io…» sono le parole che egli pronunciò e che ci ricordano il suo impegno di donazione a Dio e agli altri sino all’estremo.
Il Servo di Dio Padre Daniele, con la sua vita appassionata ed eroica, è per noi la prova di Dio in un mondo che sta perdendo la speranza. Se noi tutti siamo qui, in questa cattedrale, lo dobbiamo a lui, che ha saputo indicarci la bellezza di un amore vissuto intensamente passando attraverso la croce. E così ci ha ancor più innamorati di Cristo.
Padre Daniele ha spesso cantato nelle sue canzoni e scritto nelle sue poesie: «Non si può incontrare Cristo senza passare dalla croce». Per il credente la croce non è tanto segno di morte quanto, piuttosto, di un amore irriducibile, totale, incondizionato, senza risparmio.
Ritorno a ripetere: padre Daniele ci/vi ha attirati sin qui, a Faenza, non perché è stato un personaggio famoso della cultura, dello sport, della musica, della politica, ma perché ci credeva. Soprattutto per questo. Perché è stato esigente con se stesso e con gli altri, amando sempre, lavorando incessantemente su di sé, per essere la prova che Dio ci ama. Padre Daniele, pur nella povertà dei mezzi a disposizione, come era per tutti coloro che avevano seguito padre Ugo De Censi in Latinoamerica, era radicale nelle sue scelte. Nelle sue Lettere ci sono frasi terribili contro una pastorale accattivante, che facilita le proposte educative, abbassando l’asticella. A tale visione opponeva la via dell’amore entusiasta, convinto, ossia la via della croce: il metodo del sacrificio personale, del lavoro, dello spendersi completamente per i poveri, per amore di Gesù Cristo. I cristiani sono coloro che con la loro vita debbono sapere morire per donare Gesù Cristo, per «salvare Dio», in certo modo, in una società sempre più indifferente nei suoi confronti. Tocca ai cristiani mostrare con la vita che Dio c’è e che vale più di ogni cosa.
In questo giorno in cui ricordiamo Padre Daniele, non poteva capitarci di meglio che trovarci di fronte alle parole di Gesù, che vedeva ormai prossima la sua morte: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12, 20-33).
Padre Daniele, con la sua vita ci ha mostrato un sentiero per incontrare Gesù il Signore, per annunciarLo, per camminare nella Chiesa, per educare con efficacia, per impegnarci nel mondo a favore dei più poveri. Proprio per questo, la nostra Chiesa di Faenza-Modigliana, impegnata nella preparazione e nell’ormai prossima celebrazione del Sinodo diocesano dei giovani, lo sceglie come modello fulgido. Desideriamo proporlo come esempio di giovane che: cerca con inquietudine Dio, lo segue, lo serve, gli obbedisce, lo ama, imparando a morire ogni giorno.
Il suo itinerario spirituale deve diventare il nostro percorso e quello dei giovani di questa Diocesi, che ha dato i natali a Padre Daniele.
Egli ha cercato: Daniele era un giovane che ha cercato Dio e non si è fermato mai. Ne è stato un portatore, perché prima l’ha cercato. Voleva vivere pienamente la vita, andando sino in fondo. Ha conosciuto il bisogno di Dio, ma anche il combattimento per la fede e la tentazione di non credere in un mondo che fa di Dio un «latitante». Ecco perché ha seguito quella vocazione che è seminata nel cuore di ogni giovane, e si è sentito chiamato alla Gioia.
Ha seguito fedelmente. Daniele ha seguito fedelmente padre Giorgio, che lo ha portato a seguire padre Ugo che, a sua volta, lo ha sollecitato a seguire Gesù Cristo, accogliendolo e amandolo nei poveri. Con una vita così, di discepolo docile, padre Daniele insegna a noi oggi a seguire il Signore, con un amore indomito ed appassionato, nella fatica e nella gioia.
Ha servito Cristo, la Chiesa, i piccoli. Il «servire» è forse l’aspetto più congeniale al carattere di padre Daniele. Era una persona umile di suo, che faceva i lavori più modesti, a cominciare dal lavare i piatti. Riconosceva di non avere grandi doti pratiche. Nel suo gruppo c’erano altri che riuscivano meglio di lui a guidare i camion, a fare i lavori in muratura. Nonostante ciò, non si è mai tirato in dietro. Accettava di buon grado i disagi, sempre con spirito ilare, con animo disponibile.
Ha saputo obbedire. Dalla Lettera agli Ebrei (cf Eb 5, 7-9) abbiamo sentito, a proposito di Gesù: «Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono». Gesù, sebbene fosse Figlio di Dio, essendo diventato figlio dell’uomo, penetrò nella sapienza dell’obbedienza proprio attraverso la sofferenza che patì.
Il cristiano, sulle orme di Cristo, obbedisce all’amore per amore. Impara ad amare obbedendo all’amore anche costoso, che implica morte a se stessi, alle proprie vedute, apertura ad un amore più grande, più alto. Ebbene, padre Daniele, ha desiderato, talvolta con un forte tormento interiore, di essere obbediente, di imparare a morire. Un dei momenti, documentati dalla sua biografia, in cui padre Daniele imparò a morire e ad amare di più, fu quando, su sollecitazione di padre Ugo, accolse in casa un ragazzo disabile di nove anni, Eloy. Da quella prima accoglienza nascerà il progetto della Casa dei Danielitos. Per padre Daniele non fu subito una cosa facile. Si trovò in difficoltà. Non si sentiva in grado di amare gratuitamente in quella nuova situazione. In una sua lettera, padre Daniele confessò che si spaventò. Temette di non saper voler bene a quel ragazzo che era magro, sbavava un poco, non camminava ma strisciava. Non riusciva a commuoversi nel vederlo così. Non era il povero che avrebbe desiderato aiutare. E, tuttavia, non si tirò indietro. Daniele obbedì a padre Ugo e amò tanti ragazzi come Eloy.
Cari giovani, se desideriamo seguire padre Daniele, impegniamoci così: cerchiamo sempre Dio, seguiamolo fedelmente, serviamo, obbediamo, amiamo, imparando a morire ogni giorno. Impariamo ad obbedire all’amore. Noi non obbediamo a ciò che è arbitrario o irrazionale.
Partecipando all’Eucaristia ne abbiamo ancora l’opportunità, unendoci a Cristo, che imparò l’obbedienza da quello che patì.
PRESENTAZIONE
Anche quest’anno ci ritroviamo nel giorno dell’anniversario della morte di padre Daniele e desideriamo riflettere insieme sulla sua vita perché ci aiuti a interrogarci anche sulla nostra.
Ognuno è chiamato a vivere la sua “ avventura” e a decidere quale direzione dargli.
Se la vita di p. Daniele fosse un quadro potremmo dire che ha saputo utilizzare con pazienza, umiltà e ubbidienza tre colori principali :
- gli amici buoni che gli hanno fatto scoprire un cammino di impegno e aiuto concreto per gli altri fatto di lavoro e sacrificio dimenticandosi sempre più di se stesso;
“Sei stufo di questa vita? Desideri provare le luci del mondo? Credi di poter trovare amici che non ti raccontano bugie su come è il mondo oggi?…..”(10/03/94 a Sandrino)
“Iniziai l’Operazione a 15 anni e subito mi legai a persone care che anche tu conosci….Il lavoro per i poveri, per chi ha fame, ci teneva uniti, ogni momento libero era dedicato al lavoro gratuito. Ricordo i tanti campi fatti, si faceva a gara con gli altri gruppi a chi lavorava di più a chi raccoglieva più soldi”(08/03/1993 a Serena)
“….L’unica via che ho è prendere la mano di un amico caro che ti dica: Vieni per di qua...Dove? Fidati è un sentiero in salita in cima c’è una Croce, devi rinnegare te stesso, prendere la tua Croce e seguirmi. Ma chi ci guida? Non lo so, anch’io sono in questo dramma, ho perso Dio, ma le orme lasciate sono queste. Solo l’affetto per quella persona sincera che non ti racconta bugie, ti fa dire ad occhi chiusi: sì ti vengo dietro, non devo farmi più domande.”(p. Daniele 23/03/94 a Chiara)
- i poveri che gli hanno aperto gli occhi sulle contraddizioni del nostro mondo, si è lasciato commuovere imparando sempre più a regalare;
“Ora sono sulle Ande, padre di tanta povera gente, il miracolo si è avverato, per la gente rappresento Gesù, dentro di me sento solo il desiderio costante di chiedere perdono. La gente povera mi obbliga a cercare Dio attraverso il cammino della carità: dai via ciò che hai ogni giorno. E’ la grazia che ricevo da Gesù. E quando ho dato tutto ciò che avevo e mi ritrovo il doppio della gente a chiedere ancora il miracolo del pane, ecco, solo allora comincia il vero cammino alla ricerca di Dio, solo allora comincia l’amore vero, gratuito, quello non voluto, non desiderato. Come vorrei vivere ogni attimo della mia vita così.” (p. Daniele 08/02/92 alle sorelle dell’Ara Crucis)
-il desiderio di Dio cresciuto con gli anni fino a diventare l’unico, poter dare tutto per Lui fino a donare la sua vita.
Daniele ha completato il suo quadro con il bianco, il colore dei martiri (Ap 7,14), l’ha desiderato come il regalo che il Signore fa alle persone più care: “Stare qui in Perù significa accettare tutto dal Signore, anche una prova così alta. Ora è chiara in me l’urgenza di mettere Dio al primo posto, sapendo che questo Dio è esigente, ti chiede il sacrificio della vita. Vivo tutto questo senza certezze, senza fede, ma con un grande desiderio di Gesù, l’unico che può salvare.” (p. Daniele 11/10/92° don Paolo)
Cosa dice e cosa chiede alla nostra vita, la vita di padre Daniele?
La lectio pauperum. Così nella vicina arcidiocesi di Bologna il vescovo Zuppi, ha introdotto un nuovo esercizio di lectio, non solo delle Scritture, ma della vita, mettendo in cattedra i poveri e ascoltandone la vita in occasione del congresso eucaristico.
Come sarebbe bello preparare il Sinodo dei giovani con quell’ascolto dei giovani, di “tutti i giovani”, anche quelli che “si sentono agnostici, che hanno la fede tiepida, allontanati dalla chiesa, che si sentono atei”, come ci chiede il Papa!
Fra questi troviamo certamente p. Daniele nel suo percorso di vita, capace di rileggere e parlare al percorso di tanti giovani di questo nostro tempo.
Quest’anno l’anniversario di p. Daniele si colloca nella prospettiva del Sinodo diocesano dei giovani, così ci è sembrato bello dare voce ad alcuni testimoni che hanno vissuto la giovinezza insieme a lui per narrare l’avventura vissuta con gli amici per gli altri, l’avventura con i poveri per imparare a regalare e l’avventura di Dio per amare fino a donare la vita.
Su questi tre aspetti dell’avventura vissuta da p. Daniele daremo voce anche ad alcuni giovani, per esercitarci in quell’ascolto dei giovani che il Papa ci chiede.
Ritrovo nel cammino di p. Daniele quello che il Papa diceva ai Vescovi sui giovani in occasione della GMG di Cracovia:
“La catechesi che non è soltanto dare le nozioni, ma accompagnare il cammino. Accompagnare è uno degli atteggiamenti più importanti! Accompagnare la crescita della fede. E’ un lavoro grande e i giovani aspettano questo! I giovani aspettano… “Ma se io comincio a parlare, si annoiano!”. Ma da’ loro un lavoro da fare. Di’ loro che vadano durante le vacanze, 15 giorni, ad aiutare a costruire abitazioni modeste per i poveri, o a fare qualche altra cosa. Che incomincino a sentire che sono utili. E lì lascia cadere il seme di Dio. Lentamente. Ma solo con le parole la cosa non va!. L’analfabetismo religioso di oggi dobbiamo affrontarlo con i tre linguaggi, con le tre lingue: la lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani. Tutte e tre armonicamente. Non so… Sto parlando troppo! Sono idee che io vi dico. Voi, con la vostra prudenza, saprete cosa fare. Ma sempre la Chiesa in uscita. Una volta ho osato dire: c’è quel versetto dell’Apocalisse “Io sto alla porta e busso” (3,20); Lui bussa alla porta, ma mi domando quante volte il Signore bussa alla porta da dentro, perché noi gli apriamo e Lui possa uscire con noi a portare il Vangelo fuori. Non chiusi, fuori! Uscire, uscire! Grazie. ” (Cattedrale di Cracovia, 27 luglio 2016)
Credo che la vita di p. Daniele possa aiutarci ad uscire come dice il Papa, a mettere insieme la mente, il cuore e le mani. Oltre alla riflessione e alla preghiera in questi giorni l’Operazione Mato Grosso propone un campo di lavoro che avrà sede a Fossolo e coinvolgerà giovani da tutta Italia.
La diocesi di Forlì, in seguito alla pubblicazione della biografia di Gerolamo Fazzini “Vado io”, mi ha chiesto di aiutarli a vivere la veglia per la giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri promossa dalla Pontificie Opere Missionarie anticipandola dal 24 al 16 marzo, data in cui p. Daniele ha offerto la sua vita al posto di Rosamaria, la sera dell’agguato e del rapimento, quando rientrava dalla celebrazione della messa di quella domenica del 1997.
Ho apprezzato molto l’invito anche per la cara memoria di Annalena Tonelli (uccisa in Somalia per aver “gridato il vangelo con la vita”, là dove non è possibile farlo con le parole) e ho scelto di andare a piedi a Forlì portando la croce che lo scorso anno ha attraversato la nostra diocesi e che ora è in chiesa a Ronco, poi alcuni ragazzi la porteranno a piedi in Cattedrale a Faenza per la celebrazione di domenica 18 marzo.
Nel prossimo anno, dopo il Sinodo dei Vescovi sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale, la nostra regione ospiterà alcune iniziative nazionali per la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni e il nostro p. Daniele sarà fra le figure di santità giovane proposte a tutti.
Don Mirko Santandrea, vice postulatore
Padre Daniele e i giovani. Dalle lettere
A don Elio Tinti da San Luis 12/5/92
Nello stesso tempo porto dentro di me il dolore di tanti giovani d’oggi che hanno perso Dio e vivono già su questa terra l’inferno che i nostri antichi dipingevano con la fiamma e il diavolo con la corda e le corna. Oggi come si dipingerebbe l’inferno? Un gran vuoto, un gran buio, il non senso... Nuovi termini, ma la sostanza non cambia. La Chiesa è chiamata ad essere madre di questi ragazzi e a comprenderli, prenderli per mano con dolcezza. Ogni sofferenza sempre dice qualcosa della croce di Gesù. Così in tanti ragazzi e soprattutto in me, il vuoto di Dio, la Sua mancanza, ci spinge, mi spinge a cercarlo con tutto il cuore attraverso i passi del Vangelo, la gratuità, il dare via gratuito.
A don Elio Tinti da San Luis 1/9/95
Tutto il lavoro educativo è basato sulla VERITÀ - Gesù era sincero, vero e i ragazzi d’oggi ascoltano chi è sincero, chi si lascia vedere per come è. Da questa trasparenza accolgono ciò che c’è dentro di te; e sull’AMORE - Gesù era il volto buono del Padre, e i ragazzi hanno bisogno più che mai di essere voluti bene, presi per mano, e non imbottiti di parole. Costa tanto sacrificio e sofferenza, glielo dico a cuore aperto, sono prete, non so amare, poco so ancora soffrire. La GIOIA viene, verrà come frutto, è inevitabile (diceva San Paolo «c’è più gioia nel dare che nel ricevere»).
A don Marcello Palazzi e ai giovani di A.C. di Cesena da San Luis, 29/1/96
Carissimi ragazzi, dell’Azione Cattolica giovani di Cesena, sono un giovane padre missionario che vive sulle Ande peruviane, oltre i 3000 metri di altezza. Don Marcello mi conosce bene, abbiamo studiato assieme in seminario a Bologna per cinque anni, ci siamo preparati per tentare di difendere e servire lo stesso Signore per tutta la nostra vita. Poi le strade si sono separate, a me sono toccati i sentieri delle Ande, dove ho incontrato tanta gente povera, povera di tutto, del pane quotidiano e povera di Dio.
Mi sono commosso, o vivi con le fette di salame sugli occhi, o apri la porta del tuo cuore per accogliere questa gente e dargli una speranza per vivere. Poi ho imparato a volerle bene più mi sono accorto che sono in mezzo a loro per non prenderli in giro, per dargli qualcosa di vero.
Questo qualcosa, cari ragazzi, è ciò che più mi fa soffrire, perché non so dove andarlo a cercare. Non lo trovo più, eppure mi viene chiesto urgentemente di regalarlo. Ho capito quanto siano false tutte le strade del mondo che conducono ad una sicurezza per questo mondo, e sento quanto sia vero e faticoso il cammino che conduce alla Speranza di incontrare un Dio padre che ti salvi nella morte dall’inferno.
Le prime strade ti vengono offerte e reclamizzate in tutte le salse e con tutta la pubblicità, la seconda è dura da percorrere, è in salita, e devi farla tu, non puoi delegarla a nessun altro. Le prime sono ampie, spaziose, comode, si possono percorrere con automobili velocissime, la seconda è piena di sassi, irta, in salita, durissima, e si percorre solo a piedi. Le prime strade vanno in discesa, sempre più in giù, la seconda va in salita, ed è sempre più in piedi, come una parete di VI grado. Le prime si fanno solo con le nostre forze e capacità, la seconda si percorre solo con l’aiuto di Dio e delle persone buone e sincere. Le prime conducono direttamente al fuoco dell’inferno, la seconda ti fa scappare dalle fiamme che senti ardere sotto di te.
Cari ragazzi, per portare la speranza di Gesù a questa povera gente, mi ritrovo ora ad affrontare una parete di VI grado. È proprio così, e a voi cosa vi costa vivere nel vostro ambiente per portare la speranza di Gesù? Ricordatevi che anche voi siete sensibili come me a tutte le sicurezze di questo mondo, a tutte la strade spaziose ed alle belle auto super veloci... Quale cammino percorrete per difendere in questo mondo il Signore, per tenere acceso nei cristiani il desiderio e la speranza di incontrarLo? Sono dentro anima e corpo in questa scommessa, con tutti i dubbi della gente di oggi che non crede più in Dio, perché da ben poco a Lui. Così nello scrivervi provo forte il desiderio di interpellarvi su come cercate di essere cristiani, oggi, tra la vostra gente. Io faccio una gran fatica, le parole non servono per convincere la gente, servono per essere sincero su ciò che sono, per non raccontare bugie. Per dar prova che Dio vale più di ogni cosa, che va messo al primo posto, ho solo la mia vita, da vivere nella carità. Sono sempre più convinto che sarà la carità, il dare via gratuitamente ciò che abbiamo, l’arma per sconfiggere il nostro mondo che con tutta la sua sicurezza ha eliminato Dio, rendendolo un latitante. I cristiani sono coloro che non si adeguano a questa realtà, e si mettono in cammino per cercare questo Dio latitante, che non trovano più tra le mura delle nostre città, e tra i cuori induriti e chiusi della gente.
Come vedete non mi sento fuori del mondo pur vivendo quassù sulle Ande... cerco compagni di viaggio sinceri e pronti a dare testimonianza che Gesù è il bene più prezioso che dobbiamo cercare. State in guardia a non difenderlo con le parole come tutti i professori!! Ricordatevi il cammino stretto e in salita... sì come i miei sentieri delle Ande, come le case povere della gente, come tanti bambini affamati e vestiti di pochi stracci..., come tanti infermi soli e abbandonati...
Non scordatevi che solo la sofferenza, la croce, smaschera l’inganno di un mondo super perfetto, che non accetta ciò che non è calcolato... Ma la morte non si può calcolare... la si accoglie... Ecco perché mi rimane solo da cercare Dio. Vi ringrazio per l’aiuto ricevuto, vi chiedo di continuare ad aiutarmi, ne ho tanto bisogno... Tenete sveglia la vostra città con la carità... È urgente farlo, e tocca prima di tutto ai giovani...
Vi abbraccio Vostro P . Daniele