Carissimo professore don Serafino,
ho ancora la Sua lettera tanto cara alla quale rispondere... La sua risposta fu immediata e graditissima... ma purtroppo lo scrivere non è il mio forte.
Arrivo a sera sempre stanco e con la sensazione di non avere fatto mai il mio dovere come Gesù mi chiede...
Il giudizio di Gesù sulla mia vita mi obbliga a stare sempre in piedi, con una voce continua che mi sussurra «Vuoi salvarti? Fai la carità, nell’ora della tua morte verrò a salvarti».
Vivo ogni giorno con questo desiderio. Non è fede, è solo paura di dannarsi, e sono consapevole che la salvezza può venire solo da Dio...
Dovessi ridurre a poche parole ciò che sto vivendo qui in Perù, sulle Ande, dico «SOLO DIO DEVE CONTARE», tutta la nostra vita deve puntare a Lui, obbedire a Lui.
Vedo perfettamente il fallimento di un’azione basata sulla promozione umana, la tocco con mano ogni giorno.
Ogni cosa deve essere fatta solo per Dio. E per me stare qui è obbedire a Dio (con tanti peccati e tradimenti), mettere in pratica la sua legge, cioè la carità, il dare tutto gratuito.
Così le nostre case che a prima vista possono apparire costruzioni da ricchi, sono case per riempirle di ragazzi poveri, per prendersi a cuore ognuno di loro come fossero tuoi figli.
E la preoccupazione più grande è la salvezza dell’anima. Dargli il pane quotidiano è la cosa ancora più facile, farli diventare cristiani liberi che scelgano la croce di Gesù è una scommessa ben più ardua di fronte alla quale sia poveri che ricchi si ritrovano allo stesso livello...
A volte ho l’impressione che il cammino cristiano sia più «facile» in Italia perché le persone sono più sincere e quindi più libere (verità e libertà vanno d’accordo insieme o no?) Qui siamo ancora in un mondo dell’Antico Testamento, dove Dio viene chiamato in causa per le cose di questo mondo (la salute, i furti, ecc.). Una delle fatiche più grosse è portare i ragazzi e la gente alla sincerità, cioè dire esattamente ciò che pensano nel cuore... Non si immagina quanti imbrogli e bugie...
Per questo vedo nei ragazzi italiani più sincerità. Per me non è vero che in Italia sia più difficile che in missione... Come continuerei a parlarLe a cuore aperto, chissà che non ci sia modo di vederci, a maggio tornerò per qualche mese e metterò in calcolo di venire a salutare il «regionale» di Bologna.
L’abbraccio con l’affetto di sempre
P. Daniele
Mi perdoni la brevità della lettera, era solo il desiderio di tenerLa accanto a me, anche solo per un attimo.
San Luis, 18/03/93